di Giuseppe Dolce
La voce imballaggio di Wikipedia è una lettura molto istruttiva. Si impara che esiste un imballaggio primario, un imballaggio secondario e anche un imballaggio terziario. Il primo è a contatto diretto con “il prodotto”, come la bottiglia che contiene l’aranciata o la lattina che contiene i pomodori. Su questo involucro sono stampati marchi, immagini, nomi, codici a barre: è il biglietto da visita del prodotto, il suo volto commerciale. L’imballaggio secondario è una protezione del primo, un raggruppamento, un rinforzo, come la confezione da sei lattine di birra o la scatola che contiene le pasticche medicinali racchiuse nel blister. L’imballaggio terziario, infine, è un involucro grande che raggruppa molti prodotti, o molti imballaggi secondari per favorirne il trasporto, come uno scatolone che contiene varie scatole di trenini giocattolo, o il pallet che riunisce più scatoloni, o più confezioni. Questo terzo tipo di imballaggio in genere non ha nulla di attraente: ha una funzione pratica. Il secondo tipo di imballaggio ha anch’esso un fine pratico, ma è anche una presentazione del prodotto. Non si può negare la praticità di un imballaggio primario – senza la bottiglia, l’aranciata non potrebbe essere trasportata – ma a prevalere è la qualità estetica, la forza di attrazione, di mitizzazione, quasi.
Imballaggio è una parola mercantile, certo. Tuttavia non ha una connotazione pubblicitaria, attrattiva, erotica. In imballaggio risuona la razionalità di chi deve far uscire i prodotti dalla fabbrica o deve riempire la stiva della nave o il cargo in modo saggio e ponderato, perché le cose non si rompano. Nei fatti, nella società odierna, l’imballaggio primario ha una finalità erotica. Tuttavia queste due parole – imballaggio primario – non hanno assolutamente niente di erotico. Per evidenziare la carica erotica dell’imballaggio primario dobbiamo usare una parola inglese: packaging.
La pagina italiana di Wikipedia sull’imballaggio si apre (oggi 8/09/2020) con una serie di avvertenze su quanto la pagina stessa sia insufficiente e fuorviante per vari aspetti. Ad esempio, si sottolinea che non è corretto legare il concetto di imballaggio a quello di packaging, che è – cito – the science, art and technology of enclosing or protecting products.
Il problema non è tanto che si tratti di una ‘tecnologia dell’avvolgere o proteggere prodotti’ (traduzione mia), ma nel fatto che il packaging sia una scienza e – soprattutto – un’arte.
Imballaggio è azione antica: tecnica, più che tecnologica. Evoca operai, portuali, camalli, non scienziati (e qui ci sarebbe da obiettare, perché imballare e trasportare via mare si collegano dall’antichità alla geometria, alla matematica, alla fisica). L’imballaggio non si collega affatto all’idea di arte (l’attività di artisti provocatori come Christo e Jeanne-Claude, che impacchettarono vari monumenti nella loro attività artistica di Land Art, è l’eccezione che conferma la regola).
L’arte del packaging è un fenomeno per affrontare il quale esiste una bibliografia specialistica e una sitografia di grande ampiezza. Conta qui rilevare soltanto che il packaging, inteso come arte, si avvicina molto al concetto di pacco come arte, arte come pacco. L’attrattiva erotica che deve emanare da un prodotto commerciale è uno dei fini del packaging. Ci si allontana dalla funzione protettiva del guscio, che vale meno dell’uovo protetto al suo interno. Ci si avvicina alla funzione erotica – ma che si potrebbe senza esagerazioni definire pornografica – di un involucro ricco di fascino che attira l’attenzione del consumatore verso un prodotto che, alla prova dei fatti, vale meno di ciò che lo contiene. Viene da pensare a certe fotografie invitanti stampate sulle scatole di prodotti alimentari. A volte alle fotografie si associano scritte che più o meno dicono: “La fotografia ha il solo scopo di presentare il prodotto e non corrisponde esattamente al prodotto stesso”. Questo significa che la fotografia di presentazione è più bella del prodotto. L’inganno è scoperto e dunque non è un vero inganno (ma non è malignità supporre che chi stampa sulla scatola di un prodotto una fotografia di presentazione troppo bella spera che l’acquirente non stia troppo attento a leggere le scritte di commento in caratteri minuscoli).
Tuttavia è chiaro che il packaging confina con fare il pacco (vedi il capitolo Un pacco, il pacco, tutti i pacchi). L’uso dell’inglese è una spia linguistica. Nel XXI secolo, se qualcosa nell’ambito della lingua italiana è detto in inglese, nasconde in genere una realtà grigia, ambigua o addirittura negativa. La lingua straniera – come quattrocento (o duecento) anni fa il latinorum odiato dal Renzo dei Promessi sposi (e odiato a ragione, perché era il latino di Azzeccagarbugli) – serve a creare una connotazione positiva, allettante (erotica, o piuttosto pornografica) attorno a un concetto. La lingua straniera, cioè, crea un alone che avvolge e nasconde. Non come un guscio nasconde l’uovo, ma come un abito sgargiante nasconde un corpo sfibrato.
Dire packaging è un po’ come fare il pacco, cioè ingannare con arte e scienza e tecnologia. Hanno ragione i revisori di Wikipedia a dire che imballaggio mal si ricollega a packaging, ma è pur vero che, se si usasse l’italiano, il pacco rivelerebbe la sua finalità pornografica, ingannevole. Packaging invece la nasconde nel suo alone conturbante.
Ulteriore prova di questo meccanismo è che, parlando in italiano di packaging si tende a evitare la parola pacco, preferendole l’inglese pack. Dire che il packaging è l’arte (e la scienza e la tecnologia) di confezionare un pack è di sicuro meno disturbante (la verità è disturbante) che dire fare il pacco è un’arte. Il pack, del resto, è più fascinoso e pieno di luminosa ingenuità rispetto al pacco. Il six-pack ha infine una forza erotica: si può usare come metafora di addominali maschili tonici e ben definiti (lo scrittore Gianni Miraglia pubblicò nel 2008 sull’argomento un romanzo intitolato appunto Six pack). Il suo equivalente italiano, ‘pacco da sei birre’, ha una connotazione povera. Denota onestamente un imballaggio secondario di sei birre (facilmente sostituibile con un pacco da sei bottiglie di acqua oligominerale). Un pacco da sei non fa il pacco.