Gioiavera

Gioiavera è il mio terzo album e ha visto la luce nel novembre 2021. Le dieci canzoni che lo compongono sono dieci pezzi unici, ciascuno indipendente e concluso in sé. Al tempo stesso sono tessere di un mosaico che vado componendo a partire dall’album Vitamara (2013) attraverso Ammazzacaffè (2017).

L’album si apre con la canzone che dà il titolo all’album, Gioiavera. In un’epoca di passioni tristi, per dirla con Miguel Benasayag, Gioiavera vuole rovesciare idee comuni su vecchiaia, lavoro, amore che diamo per ovvie e che incatenano i nostri giorni con il ferro del loro grigiore. È una canzone sfacciata che aspira a mettere allegria nonostante tutto, è un inno alla terza età e a tutte le vite che non hanno gioia, è un augurio che tocchi un po’ di gioia vera “alle più grandi attrici”, ovvero a tutte le persone che sono tristi nel loro cuore, ma che per mille motivi devono esibire gioie finte.

Immagine di Monica Figuerola, grafica di Vincenzo Gentile

Anche Semplice ha una struttura ironica. Si propone come un inno alla semplicità, ma alla fine si risolve in un’accettazione del fatto che la vita non è semplice. Accettare però non significa arrendersi, come saprà chi arriva in fondo alla canzone.

Provocatoriamente, il titolo della terza canzone si contrappone alla precedente: Complicazioni successive. Il testo è narrativo. Racconta di un tentativo di sequestro al fine di raccogliere soldi per finanziare qualche sogno idealistico e umanitario. I sequestratori però litigano tra di loro e i soldi, che pure erano riusciti a intascare dopo una trattativa con i negoziatori, volano giù dall’elicottero con cui stavano fuggendo. La musica ha un arrangiamento molto ricco, adatto a sottolineare una canzone che ha l’ambizione paradossale di trattare l’intreccio tra economia, finanza e politica: e in meno di cinque minuti.

Il brano che segue, 100.000 colori è una canzone d’amore classica che potrebbe stupire per il testo, per il ritornello, per novità che si nasconde dietro le cose banali.

Con Misterioso si torna a trattare una corona di temi che hanno una valenza politica, benché siano centrati sulle relazioni tra due persone: l’infedeltà, la mancanza di rispetto per l’umanità del prossimo, la violenza di chi ha potere. I toni sono quelli di un gospel amaro. Mi hanno ispirato l’Eneide di Virgilio, Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez e le notizie dei telegiornali. Non è esagerato dire che Misterioso si ricollega ad Ammazzacaffè (la canzone) e a Complicazioni successive, perché in fondo sono tre meditazioni paradossali sull’economia.

Il sesto brano, Caravaggio, è un blues in cui si rievocano i tempi della scuola. Caravaggio rappresenta tutto ciò che si studia, le lezioni, i compiti a casa. La cosa importante però è un’altra: quella a cui si pensa mentre si dovrebbe studiare storia dell’arte o matematica, per esempio. Caravaggio tratta appunto di questa cosa importante e non molto del grandissimo pittore. Anche in Vitamara è contenuto un blues, Il re delle mezze misure. Direi che i due blues sono legati da uno spirito comune, sono quasi il primo e il secondo tempo di un “sentimento in musica”.

Altra galassia è una meditazione sulla distanza e sulla vicinanza. Sul piano interplanetario le cose stanno in un modo, sul piano dei rapporti amorosi, in un altro. Così, se due persone non vogliono comunicare, anche se stanno sedute in stanze attigue, è come se vivessero su due galassie diverse. L’arrangiamento disegna uno spazio sonoro siderale che si adatta bene, penso, al tema.

Diritto all’oblio nasce da una folgorazione: una pagina di Google che si intitolava proprio così e che trattava del diritto di ogni utente della rete di far dimenticare notizie di sé “antiche” e non rispondenti alla situazione attuale (ad esempio: adolescente semisvestito e ubriaco a Ibiza nel 1991 oggi primario di ospedale a Milano). La melodia non ha strofe o ritornelli. Va avanti cioè senza ritornare sul passato. Questa struttura, insomma, pretenderebbe di essere l’equivalente musicale del concetto di diritto all’oblio. Nella mia mente il pezzo doveva essere una samba jazzata. La realizzazione si avvicina molto a come la immaginavo.

Il penultimo brano, Due caffè, potrei definirla “la canzone della vita” ed è ispirata allo stile di Paolo Conte. Il ritornello risale alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Le strofe dell’epoca sono andate perdute. All’inizio degli anni Dieci le ho composte ex novo, parole e musica. Si tratta di un uomo in un bar che ripensa al suo passato, ma, guardando una ragazza, potrebbe forse andare verso un futuro insperato di gioia vera. Due caffè è stata composta nell’arco di una vita e in tre minuti racconta una vita. Il titolo originale era Pippo caffè. Nel 1987 uscì Pippo di Zucchero e ciò mi spinse a mettere la mia canzone nel dimenticatoio. Il ritornello però mi è rimasto in testa e il resto è venuto piano piano. La canzone voleva un arrangiamento da musical. Né in Vitamara, né in Ammazzacaffè aveva trovato la sua collocazione. L’attuale veste mi sembra soddisfacente.

Due caffè è anche su Perdersi a Roma

La canzone che conclude il disco, La casa di chi ama, si ispira al tema del calo delle nascite. Bambini che giocano con i loro aquiloni di notte: immagine di bambini che non ci sono. Ma poi sorge il sole, il mondo si popola. Si era in due, poi si è in tre, poi si sarà in quattro… La vita alla fine vince e si può sperare nella gioia vera e luminosa, nonostante la realtà sia dura, triste, grigia.

Se, a giochi fatti, devo indicare un filo rosso che leghi le dieci canzoni del nuovo album, parlerei di gusto del paradosso, ovvero di una tendenza a cogliere paradossi incongruità apparenti assurdità nei pensieri e nella vita mitigando l’amarezza con la leggerezza del sorriso, che è poi la tendenza che caratterizza forse la mia intera opera in musica e in parole. Aggiungerei che la leggerezza del sorriso richiede l’energia necessaria per il doppio salto mortale: in entrambi i casi si fa uno sforzo terribile e al tempo stesso si sorride, come se lo sforzo non costasse nulla.