Pubblico qui una serie di recensioni, risalenti al 2005, che a mio avviso colsero con precisione alcuni tratti essenziali del romanzo. I recensori rilevarono anche punti deboli. Chi vorrà leggere Nero Istanbul potrà confrontare il proprio giudizio con quello dei recensori. Mi sono permesso di tagliare la seconda parte della recensione di Teresa Romano perché svela il finale del romanzo.
Giuseppe Amoroso, Fabio De Propris: Nero Istambul [sic] La felicità rincretinisce solo il dolore migliora, in “La Gazzetta del Sud”, 01/02/2005
Un gruppo di pensionati “attraversato da una corrente di allegria, con lampi di entusiasmo”, è in partenza per la “magica” Istanbul, in un viaggio organizzato. Vi sono anche Franco e Ornella, una coppia di quarantenni, lui ex agente finanziario, lei insegnante di piano. L’imbarco in aereo, il volo e l’arrivo danno immediatamente la dimensione della tenuta narrativa di Fabio De Propris che costruisce un romanzo centellinato nei particolari e in apparenza spigolosamente puntuale, marcato da una registrazione notarile, curiosa del gesto, della regolare scansione analitica. Ma con sorprendente scarto una linea sentenziosa si ramifica tra le anse del racconto, si impossessa dell’essenza dei fatti promuovendone quasi l’invisibile, implicita quota di coscienza, l’appartenenza a uno slancio più ardito, lungo il quale la voce dell’autore, prestata a Franco, opera una sorta di frattura tra le cose incagliate nell’ingranaggio cronachistico e un’aria più colorata e sonora, schiarita e complessa, capace di andare al di là della nuda trascrizione di piccoli, seppur inquietanti, eventi giornalieri: “Andavano in gita a Istanbul. Sai che felicità. Il dolore è la vera scuola, la felicità è un paese dei balocchi dove non si impara niente, ma tutti chiacchierano un po’ troppo, pensò Franco. La felicità rincretinisce, il dolore ci migliora”. Nero Istanbul rompe così anche qualche schema realistico calandolo in un impasto denso di componenti: vi concorre, agguerrita, una direttrice polemica e satirica dell’autore che non perde occasione per sottolineare i difetti degli uomini, il grigiore delle menti, i costumi mediocri, le gioie incolori. Lo sviluppo dell’avventura per catalogazioni molecolari, per tendenza all’esteriorità pittoresca, risulta un po’ rallentato, tardando a liberare quel filo di suspense che, fin dall’inizio, si avverte incombere sulla storia. Setacciato dall’ottica del personaggio, il romanzo dà la sensazione di una paziente indagine: anomala solo perché trafitta dall’insofferenza dell’uomo, dalla sua dichiarata volontà di isolarsi, di non comunicare, di patire il divertimento forzato e di “trasferirsi su qualche pianeta al di là del sistema solare, fuori da Alpha Centauri”. Tale stato di distacco verso gli altri fa crescere spazi che inevitabilmente vengono occupati dalla “vita nascosta” dei luoghi dai quali sembra al momento giungere al personaggio solo un larvato segno di pericolo. Si spalanca un labirinto di vicoli, case, moschee, suoni che si perdono lontano; piccoli negozi, strade scoscese, grandi viali in cui scorre un’umanità anonima. E mentre si dispiega il catalogo delle immagini, Franco è toccato dal solito pensiero di trovare qualcosa di più resistente dentro, nella mente, “un formula generale sull’umanità” , una riflessione fuggitiva, una memoria. Il passato e il presente si incrociano, il tempo si complica di voci come sbalzate via dai loro contesti, e subito si rimette in sesto per favorire la ripresa diretta di Istanbul: comincia a delinearsi una “trappola” in un tessuto narrativo che sembra tendersi verso un punto oscuro. Un compagno di scuola, Riccardo Vitali, emerge da vent’anni di buio: enigmatico, pare nascondere un segreto. Forse i due sono immersi in una realtà che supera spesso la fantasia più sfrenata, “soprattutto nella realizzazione delle catastrofi” . Si serra così la rete dei fatti che grandeggiano, slittano, cambiano spessore, consistenza: un carico di droga nelle valigie di Franco e Ornella, indefinibili guide turistiche, fotografie scattate di nascosto, registrazioni e filmati, spionaggi e discorsi sibillini, il mercato delle adozioni illegali, illegali trapianti d’organi, problemi di politica internazionale. E, ancora, nuovi paesaggi, città bazar, alberghi, siti archeologici, campi militari, una vallata che fa sentire i protagonisti simili a “eremiti dell’anno Mille, come cavernicoli della preistoria, come uccelli che sorvegliano una natura vergine, ignara di monaci, turchi e turisti”. Insidiosi, i ricordi non cessano di ritornare; di “smuovere le ruote del cervello”: la pagina alterna fasi di movimento colto in modo diretto con altre che si intridono – per il protagonista – di chiazze autobiografiche, di pause e con altre ancora che mescolano l’azione e la nota documentaria. Con grande rapidità si passa dal primo piano in cui agiscono i personaggi principali a scene corali di volta in volta rinnovate. Una leggera malinconia si poggia sulla trama che risulta come offuscata da certe riflessioni sul passare del tempo. Lo scrittore forza l’analisi psicologica (appare un’Ornella fredda ed egoista, paragonata a un “cartone animato”; dal canto suo il marito è diviso tra tenerezza, desiderio di troncare il rapporto, timore della solitudine), agglomera gli episodi intorno a un intrigo sempre più tenebroso e riflesso in sfondi brulicanti di segreti, inconfessabili maneggi, subbugli di volti, maschere di odio e violenza. E non manca pure una falce per il grano, “di quelle grandi che tiene in mano la Morte nei fumetti dell’orrore”.
Giuseppe Amoroso
Teresa Romano, recensione a Nero Istanbul in “Il tempo di leggere”, Quotidiano di critica letteraria ideato e diretto da Pasquale Bottone, giovedì, febbraio 24, 2005 http://iltempodileggere.splinder.com/archive/2005-02
Fabio De Propris, con il suo romanzo Nero Istanbul , è riuscito dove altri hanno fallito. Ha romanzato le miserie umane d’Oriente e d’Occidente e le ha messe alla pari. Cancellandone differenze e motivazioni, cambia le regole del gioco e azzera le distanze tra chi offre e chi compra nello squallido mercimonio tra le genti. Tema di grande attualità, lo scontro tra società così raccontato, si tinge di noir e ci regala una suspense che abbandona il genere “fantastico” e si trasferisce in una realtà possibile. Una coppia di quarantenni parte dall’Italia diretta ad Istanbul, mescolata ad altri turisti. In realtà il viaggio altro non è che una copertura […]
Teresa Romano
Maddalena Bonaccorso, recensione a Nero Istanbul in “Thriller Magazine”, 12/02/2005
http://www.thrillermagazine.it/home/
È un gran bel thriller, questo ultimo libro di Fabio De Propris. Molto ben congegnato e con una splendida ambientazione: la città di Istanbul, magica ed affascinante.
Il protagonista del libro si chiama Franco, ed è un consulente finanziario caduto in disgrazia. Ha perso tutti i clienti, è in gravi difficoltà economiche.
Assieme a sua moglie Ornella, insegnante di pianoforte con pochissimi allievi, si reca in Turchia con un viaggio organizzato. Il vero motivo della trasferta è scambiare un carico di droga (trentamila pasticche di captagon, una sostanza sintetica prodotta in Olanda) con un bambino che deve essere adottato, naturalmente in modo illegale, da un ricco signore italiano. In verità, la realtà è molto diversa, è più odiosa. Franco se ne renderà conto troppo tardi… o forse no. La sorpresa di un finale mozzafiato ed inaspettato non va svelata. Quello che possiamo dire è che si aprirà davanti agli occhi del lettore un abisso di miseria e di sconcerto.
Istanbul è la quinta del romanzo; ma dire così è forse riduttivo, in quanto la città sembra la vera protagonista. Molto ben conosciuta dall’autore, che vi ha vissuto per 3 anni, è un misto di oriente ed occidente, di tendenza alla modernità e di incredibile arretratezza. Un irresistibile miscuglio di civiltà, di usanze. Il linguaggio del libro è molto scorrevole, moderno ma senza cedimenti alle mode. I personaggi, anche i minori, sono tratteggiati in maniera incisiva. Il protagonista, Franco, lascia il segno. Nonostante la terribile situazione in cui si trova, riesce a mantenere uno sguardo ironico; il suo umorismo è molto sottile, a tratti irresistibile, soprattutto quando le sue riflessioni toccano il mondo dei viaggi organizzati, della civiltà della videocamera a tutti i costi.
Fa riflettere; Franco giudica, disprezza, si isola dagli altri viaggiatori, cerca l’essenza della città, ne gira i vicoli. Dentro di sé ha l’angoscia di non aver avuto figli, le preoccupazioni economiche, il timore per quello che succederà. Ma non perde mai il suo atteggiamento critico. L’incontro (casuale. O forse no…) con un vecchio compagno di scuola – guarda caso, agente antidroga proprio ad Istanbul – oltre a metterlo ancor più nei guai (o a salvarlo?) gli offre il pretesto per ricordare i vecchi tempi, gli anni 70, l’hascisc, le manifestazioni, gli anni bui del terrorismo. La musica di quei tempi.
Un libro da leggere, aspettando i prossimi, sicuri, successi di questo autore.
Maddalena Bonaccorso
Francesca Avanzini, Mamma li italiani!, in “La Gazzetta di Parma”, 17/02/2005
Un bel thriller, teso e compatto, un’ambientazione esotica osservata dal punto di vista di un gruppo di turisti in viaggio organizzato a Istanbul. Le solite banalità: cappellini da baseball indossati a rovescio su teste canute, magliette con scritte e provocanti su ventri flosci, proteste per la colazione alla turca smorzate dalla possibilità di averle all’italiana, visite al bazar e al ristorante preferite a siti archeologici o vedute mozzafiato. Che ci fa dunque in un gruppo simile una copia di quarantenni trendy e piacenti, cinici e disillusi? Hanno, credetemi, i loro bei motivi per partecipare – astenersi, per non rovinare la suspense, dal leggere il risvolto e la quarta di copertina che sconsideratamente rivelano uno dei segreti della storia – oltre a quello di tentare di rimettere insieme il loro matrimonio. E se lei un qualche tentativo di socializzare lo fa, lui è un misantropo senza speranza che divide la gente in tre categorie: i cretini – quasi tutti – i deficienti di genio che si fregano con le loro stesse mani per troppo idealismo, e le rare persone normali. C’è, è vero, troppa e troppo compiaciuta insistenza sul tema del cretino, ma il libro ambisce, nel raccontare una storia di “normale” criminalità, a mettere in luce le piaghe dell’Italia e della modernità occidentale sullo sfondo di un paese ancora in via di sviluppo e con residue, ben visibili sacche di povertà. I protagonisti di Nero Istanbul (Fazi Editore) sono due italiani medi, viziati dal benessere economico e decisi a non perdere quei privilegi e poteri d’acquisto che il profilarsi della recessione sembra minacciare. Suspense e colpi di scena si susseguono durante il racconto e nel finale, quando si rimane fino all’ultimo incerti se mosse dei personaggi e sulla reale distribuzione di bene e male. La conclusione appare però un tantino rumorosa, grondante sangue benché fortunatamente priva di sofisticati sadismi o altre simili, ormai abituali schifezze. Appare, tutto sommato, un po’ posticcia, rispetto al tono pacato del resto della narrazione. Tra i vari meriti dell’autore, Fabio De Propris, oltre a quelli succitati, anche la completa, inusuale mancanza errori di grammatica. Un lusso che piccoli e medi editori sembrano potersi concedere alle spalle dei loro omologhi più grandi.
Francesca Avanzini