Come dice il titolo, questo è un noir ambientato a Istanbul. A differenza dei primi due, è un romanzo di genere. Tuttavia il mio amico Peter Byrne mi disse che è al tempo stesso il più personale dei tre. Peter in genere ha ragione. Racconto la storia di una coppia di quarantenni, Franco e Ornella, che vanno in Turchia con un viaggio organizzato per coprire un traffico di droga che copre un altro traffico. La frase del romanzo che è stata scelta per la quarta di copertina è “Trentamila pasticche per un bambino” e devo dire che è abbastanza significativa.
Come anche i due romanzi precedenti, Nero Istanbul è un romanzo costruito attorno ai personaggi, ai caratteri di Franco e di Ornella, ma anche degli altri personaggi che i due protagonisti incontrano. Oserei dire che ogni personaggio, anche il più secondario, ha una pagina in cui è protagonista.
Puntavo a creare suspense usando tutte le mie armi a disposizione. Innanzitutto l’esotismo: conosco Istanbul direttamente per averci lavorato tre anni, dal 1997 al 2000, e potei descriverla con sufficiente precisione. Provai a restituire il fascino dell’Oriente con un’analisi minuta dei particolari a un pubblico che ha girato il mondo quanto e più di me, perché ha vissuto (vive?) vive nella mia stessa epoca, che possiamo definire “la civiltà del turismo”. La Istanbul del romanzo è quella dei primissimi anni del XXI secolo. Purtroppo ultimamente siamo tornati indietro verso la più classica “civiltà della guerra” e nel 2020 stiamo vivendo nel terrore della pandemia che ci ha resi – più che “padroni” – “servi in casa nostra”, ma il turismo è una conquista dell’umanità che, con tutti i suoi limiti, spero non si perda, spero si riacquisti presto.
In secondo luogo potei mettere a frutto le chiacchierate – a cena, o tra una schitarrata e l’altra – con un amico in servizio presso il consolato della Città e profondo conoscitore del mondo turco, Mario Learnt, che – come potrebbe Giuseppe Dolce dargli torto? – preferisce essere citato con il suo pseudonimo. Grazie a Mario potei attingere a notizie di prima mano su alcuni aspetti “romanzabili” delle attività di polizia e in particolare di quelle che riguardano la collaborazione internazionale. Perciò ringrazio infinitamente Mario Learnt, anche per i suoi appunti alla seconda stesura del romanzo, che mi consentirono di eliminare nella terza un serie di imprecisioni che stridevano col mio proposito di raccontare una storia inventata e rocambolesca, ma verosimile in ogni dettaglio. A Mario, inoltre, è ispirato il personaggio del vulcanico Riccardo Valente, un compagno di liceo del protagonista che lavora a Istanbul e ha un ruolo fondamentale nello sviluppo della storia.
Per i loro consigli in corso d’opera devo ringraziare anche i miei amici Fabio L. Grassi (che sulla prima stesura mi fece notare un’incongruenza ridicola negli orari degli aerei da Istanbul ad Ankara) e Franco Pignatti, che mi ricordò quanto sia importante lo spargimento di sangue in un noir. Anna De Salvia mi fornì il titolo del libro, che secondo me doveva intitolarsi in origine La danza del ventre e poi (visto che il mio titolo non piaceva proprio a nessuno) Italyan (altra scelta un po’ fiacca, che aveva l’unico pregio nella brevità).
L’elenco di persone che dovrei ringraziare è ancora lunghissimo. Sul libro non ci sono ringraziamenti. Come lettore non mi piace leggerne in testa o in coda ai romanzi. Mi sembrano adatti a un saggio e non a un’opera di fantasia. Nel mio cuore ringrazio tutti quelli che mi hanno aiutato, infinitamente.
Segue una pagina del romanzo, che racconta il secondo incontro a Istanbul del protagonista, il quarantenne Franco Benvenuti, con il vecchio compagno di scuola Riccardo Valente.
da Nero Istanbul
Franco entrò nella sala e vide che al tavolo più vicino all’ingresso era seduto l’uomo che all’aeroporto aveva scambiato per Riccardo Vitale. Sembrava che lo stesse aspettando, perché quando lo vide gli fece un gesto con la mano, accennando un mezzo sorriso. Franco gli si avvicinò.
“Ti ricordi di me,” gli disse l’uomo con tono assertivo.
“Sì, ci siamo incontrati all’aeroporto l’altro ieri e l’ho scambiata per un mio vecchio amico che non vedo da anni.”
“Si sieda al mio tavolo, prego.”
Franco si sedette.
“Continua a notare la somiglianza tra me e il suo amico?”
“Direi di sì, ma so che è un’impressione.”
“C’è gente che si è fatta anni di galera, per uno scambio di persona. Un tassista ti riconosce, mentre in realtà non ti ha mai visto, e tu finisci in carcere per la strage di piazza Fontana, per esempio.”
“Mi scuso di nuovo. Le assicuro che non dirò mai più nessuno che l’ho riconosciuto, in futuro.”
“Nell’87 Valpreda fu assolto. Nel 2001 i neofascisti Zorzi, Maggi e Rognoni sono stati condannati all’ergastolo per quella strage. E’ stato fatto un sondaggio. Sa quanti italiani credono ancora che a mettere nel ’69 la bomba a piazza Fontana sia stato l’anarchico Valpreda? Il 40% degli intervistati.
“Incredibile.”
“Nel frattempo, Delfo Zorzi è scappato in Giappone, è diventato un miliardario giapponese e nessuno chiede che venga estradato.”
Franco rimase in silenzio e annuì col capo, per dichiarare che comprendeva tutta la gravità del caso, ma non aveva intenzione di chiacchierare troppo a lungo sull’argomento. L’altro invece sembrava ne avesse un gran voglia. Era un chiacchierone. Franco lo guardò fisso. Lo scrutò con occhi da avvoltoio. Anche l’altro lo fissava. Erano occhi negli occhi, immobili. L’altro non resistette a lungo e scoppiò a ridere. Franco scosse la testa.
“Sei veramente Riccardo Vitale.”
“Certo che sono Riccardo Vitale!”
“Non sei cambiato per niente.”
“Un minuto fa la pensavi in un altro modo.”
“Poi ti ho sentito parlare. All’aeroporto eri stato laconico e la cosa mi aveva sviato.”
“Vuoi dire che avevo la fama di uno che parla troppo?”
“Già.”
Riccardo aveva un’aria gioviale e allegra. Non sembrava affatto il misantropo nervoso che aveva incontrato all’aeroporto. Era solo vestito allo stesso modo.
Rideva. Franco no.
“Ti inseguo da ieri, lo sai?”
“Davvero?”
“Non te ne sei accorto?”
Franco voleva rispondere che gli sembrava che lo inseguissero tutti, ma si limitò a scuotere la testa.
“Sono un investigatore formidabile, allora!”
“Per chi lavori?”
“Impiegato statale.”
“Sei nei servizi segreti?”
“Sì, sono il capo.”
“Porca miseria, complimenti,” disse Franco.
I due si studiarono qualche secondo, per capire le reazioni dell’altro alle proprie battute.
“Lavoro qui al Consolato italiano di Istanbul.”
“Sei il console?”
“Te l’ho detto, sono un impiegato. Sto in ufficio, compilo le scartoffie, gioco un po’ col computer.”
“Sei all’ufficio visti?”
“No, ero ai visti quando stavo a Praga, cinque anni fa. Qui sono alla contabilità.”
“Con la tua parlantina ti dovevano mettere a contatto col pubblico.”
“All’inizio in effetti stavo lì, poi qualcuno si è lamentato…”
“Perché?”
“Dicevano che mi appassionavo troppo alla vita del pubblico e sbrigavo poche pratiche.”
“Ah-a! Vedi che se ne accorgono tutti?”
“Di cosa?”
“Che ti piace chiacchierare!”
Riccardo ammise che era vero annuendo in silenzio. Sorrise. Franco approfittò del momento di tregua per attirare l’attenzione di una cameriera, che portò due menù e attese l’ordinazione vicino al tavolo.
“E tu? Parlami di te,” disse Riccardo scorrendo il menù.
NOTA
Nero Istanbul, pubblicato nel gennaio del 2005, narra di fatti avvenuti virtualmente in un recentissimo passato. La sua stesura si colloca tra il 2001 e il 2004. Ciò spiega in parte perché la battuta del personaggio di Riccardo Valente sulla totale estraneità di Pietro Valpreda all’attentato di piazza Fontana a Milano del 1969, storicamente comprovata (giudizialmente “per insufficienza di prove”), ma non compresa universalmente dalla memoria storica dei connazionali, sia seguita da una considerazione che fa datare lo svolgimento virtuale dei fatti narrati – fatti romanzeschi verosimili, ma mai accaduti nella realtà concreta – all’inizio del XXI secolo, dopo l’attentato alle Torri gemelle, ma prima del 12 marzo 2004. In quel giorno, infatti, la Corte d’assise d’appello di Milano annullò la sentenza di primo grado della Corte d’assise di Milano che il 30 giugno 2001 aveva comminato l’ergastolo ai neofascisti Zorzi, Maggi e Rognoni per la strage del 1969 di piazza Fontana. I tre imputati vennero assolti “per non aver commesso il fatto”. La Cassazione, il 3 maggio 2005, rigettò il ricorso avanzato contro tale sentenza dalla Procura generale e dai familiari delle vittime che si erano costituiti parte civile, confermando l’assoluzione del secondo grado di giudizio, ma indicando i neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura (capi della cellula padovana di Ordine Nuovo) tra gli organizzatori della strage, tuttavia non più processabili in quanto ormai assolti in via definitiva nel 1987.
Testi critici sul romanzo che non sono recensioni